Come direbbe lo chef Cannavacciuolo: “Addios“. Ma potrebbe andare bene un “goodbye“, “auf wiedersen“, “au revoir“. La conoscenza delle lingue non rientra certo tra i difetti di Andrea Agnelli, che il 18 gennaio ha chiuso definitivamente la sua carriera da presidente e membro del CdA della Juventus, dopo 13 anni di grandi successi e di altrettanto grandi fallimenti, oltre alle consuete ombre e vergogne che sembrano perseguitare, quasi come una malattia, la storia della gloriosa società bianconera. Anche nel suo ultimo giorno, però, l’ex numero uno ha voluto farsi riconoscere, ed è tornato su quella che ormai è diventata la sua vera fissazione.
Glorificato dai più, idolatrato dalle folle, già rimpianto da buona parte del popolo di fede juventina, il “presidentissimo”, il più vincente nella storia del calcio italiano, colui che non ha dominato, ma ha addirittura imposto una dittatura, con le buone e con le “meno buone”, non ha certo perso l’occasione per sottolineare i suoi meriti, quando forse sarebbe stato più onesto parlare anche di ciò che non ha funzionato in tutti questi anni.
Se la Juventus è infatti oggi sotto più di un’indagine, senza contare quelle cui si è sottratta miracolosamente (qualcuno ha detto “caso Suarez”?), forse una parte della responsabilità, se non buona parte, è anche sua. Colpa di Cristiano Ronaldo per i più, un acquisto che non avrebbe mai dovuto essere portato a termine. Colpa forse di quella tracotanza che ha spesso fatto parte del DNA juventino, e che di certo ha permeato l’agire di Agnelli dall’inizio alla fine. Anche in questo suo storico ultimo discorso, in cui ha attaccato ancora una volta il suo più grande nemico.
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La Juventus sta cambiando, e anche radicalmente (fino a prova contraria), ed è giusto che sia così. Certi modus operandi e certi atteggiamenti non potevano più essere tollerati. Ma a dover cambiare davvero, secondo Agnelli, è il calcio in toto, a partire dagli organi principali.
Negli ultimi anni il grande nemico del presidente della Juventus è stata la UEFA. E non per le decine di delusioni che le coppe continentali gli hanno regalato, bensì per quella sua battaglia, portata avanti nella maniera più sbagliata possibile, contro un’organizzazione che fa acqua da tutte le parti.
Se è vero infatti che su alcuni punti i massimi organi calcistici devono cambiare il proprio modo di agire, è altrettanto vero che il progetto proposto in maniera rivoluzionaria da Agnelli e dai suoi “compagni di merende” (Real e Barcellona) era davvero quanto di più obbrobrioso e ingiusto fosse stato partorito dall’imprenditoria sportiva internazionale. Anche peggio del format attuale della Coppa Italia, e ce ne vuole…
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Senza fare un passo indietro, nemmeno di un millimetro, nel suo ultimo discorso Agnelli è tornato proprio su quel punto, un nervo scoperto che ancora oggi gli fa male: “L’auspicio è che la Corte di Giustizia Europea riconosca lo Sport come un’industria e l’abuso di posizione di potere dominante in Europa“. Parole forti di chi non è mai stato davvero capace di accettare la sconfitta. Come d’altronde il dna juventino impone.
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