In Francia la sconfitta non è un’onta o un disonore. Lo hanno dimostrato chiaramente i giocatori della Nazionale allenata da Didier Deschamps, oltre che un mare di tifosi che ha deciso di omaggiare comunque la formazione, nonostante la sconfitta, dolorosissima e bruciante, nella finale dei Mondiali in Qatar. Può sembrare incredibile, ma è andata proprio così. Tornati a Parigi dopo la più bruciante delle delusioni, i ragazzi transalpini sono stati accolti da migliaia di tifosi, e hanno addirittura celebrato la finale in Place de la Concorde davanti a circa 50mila persone.
Se il caro Charles Pierre de Frédi, barone di Coubertin, famoso in tutto il mondo come Pierre de Coubertin, padre delle Olimpiadi moderne, era nato e cresciuto in Francia, un motivo ci sarà. Celebre per la sua massima “l’importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta, l’essenziale non è aver vinto, ma aver lottato bene“, diventata nel racconto popolare un più sintetico “l’importante è partecipare“, evidentemente era imbevuto in una cultura che non fa della vittoria il fine ultimo da raggiungere con tutti i mezzi.
Una cultura probabilmente tutta francese, che porta a ritenere il percorso con cui si arriva fino a un risultato come il vero senso della vita, e che evidentemente è stato fatto proprio anche da moltissimi francesi, cittadini comuni di quest’epoca così lontana da valori tanto nobili, se è vero che la festa parigina è nata come una manifestazione spontanea, quasi scontata per una squadra che, da campione in carica, ha sfiorato un bis che sarebbe stato clamoroso. E la domanda che non possiamo non farci è la seguente: sarebbe successo anche da noi?
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Bisogna essere realisti. Non c’è alcuna sicurezza che la Nazionale azzurra, fosse arrivata seconda ai Mondiali, sarebbe stata accolta con tanto di bandiere e ovazioni. In passato anche noi abbiamo avuto i nostri momenti di lucida sportività, e di orgoglio per un cammino fatto. Ma è pur vero che l’Italia, più di altri posti, è storicamente attaccata al culto del risultato, nella vita quanto nel calcio. Una triste realtà che dobbiamo accettare, e possibilmente, nel nostro piccolo, cambiare.
Inutile nascondersi. Mentre la Francia ha avuto De Coubertin, noi siamo quelli del “fine giustifica i mezzi” di machiavelliana memoria (frase tra l’altro erroneamente interpretata, ma questa è un’altra storia). Soprattutto, siamo gli stessi che, in milioni e milioni, sostengono una squadra secondo cui “vincere è l’unica cosa che conta“, con tutto quel che ne consegue.
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Insomma, c’è una differenza abbastanza marcata a livello culturale, ed è logico che, ai nostri occhi, le immagini dei festeggiamenti “per una sconfitta” siano assurde, roba quasi da extraterrestri. E invece, forse stavolta quella dei francesi è una vera lezione, e faremmo bene ad apprenderla.
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